03/06/2021
User Experience e User Interface sono ormai da un decennio sulla bocca di tutti, non solo degli addetti ai lavori ma anche delle aziende che comunicano e si promuovono su Internet. Tant’è che UX e UI sono diventate una specie di “manifesto digitale” che inneggia alla centralità dell’utente nello studio e realizzazione di qualsiasi interfaccia. E in effetti, ogni giorno, ognuno di noi interagisce da quando si sveglia a quando va a dormire con una serie di dispositivi, dagli smartphone ai tablet, ed ha bisogno di un’esperienza digitale sempre migliore, più semplice e intuitiva.
Ormai anche i bambini di 2 o 3 anni si approcciano da subito ai telefonini dei genitori in modo naturale, acquisendo movimenti e gesti con un’immediatezza che li fa sembrare innati. Pur concedendo molto raramente l’utilizzo dello smartphone a mio figlio treenne, giusto il tempo di una canzoncina sui dinosauri o di un video sui trattori, devo dire che in queste occasioni osservo sempre con meraviglia le sue interazioni spontanee e istintive, come ad esempio piccoli swipe up per far scomparire le notifiche delle app che lo “disturbano”. Sì, la fruizione di contenuti online è ormai parte del nostro DNA.
Nonostante la reale importanza di UX e UI, però, stiamo secondo me assistendo a un vero e proprio abuso di questi termini, per cui molti immaginano ormai un UX/UI designer come un essere mitologico a due teste e tre mouse. Niente di tutto questo: indipendentemente dalla moda di queste parole, siamo sempre stati e continuiamo a essere dei professionisti che progettano e disegnano in modo consapevole e ragionato. Prima ancora, siamo noi stessi degli utenti e proprio per questo riusciamo a capire di cosa gli altri utenti hanno bisogno e possiamo guidarli a una navigazione più facile e intuitiva.
A determinare l’efficacia di un’interfaccia non è solo la sua grafica, ad esempio la presenza di elementi chiave che per gli utenti sono ormai una consuetudine visiva e la cui mancanza causerebbe un senso di smarrimento e/o un’esperienza di navigazione non completa. Per fare una metafora, quello che dobbiamo ottenere è un cocktail perfetto, in cui la User Interface è il bicchiere mentre User Experience, Copywriting, SEO e CRO sono gli ingredienti. Per creare un’esperienza digitale “inebriante”, questi ingredienti devono essere dosati e mixati nel modo corretto.
Molto spesso vedo ad esempio landing page con obiettivo lead generation che, oltre ad essere progettate e sviluppate in modo poco efficace, ad esempio con elementi chiave non immediatamente visibili, CTA poco chiare, animazioni o altri elementi di disturbo, hanno dei problemi anche con i testi. Un esempio è quello della quantità di informazioni: se sono troppe, ripetitive e dispersive, distraggono l’utente dall’azione che deve compiere su quella pagina. Oltre alla grafica, quindi, anche i testi sono fondamentali: per questo Copywriting e SEO devono essere altrettanto consapevoli e ben ponderati.
In ogni processo di progettazione digitale, tutte le aree devono lavorare insieme a stretto gomito: solo così si può definire il percorso di relazione che l’utente avrà con la piattaforma con cui si interfaccerà, sia essa un sito, un’app o altro.
In Webperformance, la nostra agenzia che abbiamo ribattezzato recentemente Data driven, Human inspired, abbiamo un approccio che va oltre l’applicazione del proprio know how “integrato” di UX. Misuriamo cioè i dati nel tempo per poter valutare le performance e in base a queste decidere quali elementi ottimizzare e come: il tutto per riuscire a migliorare non solo l’esperienza dell’utente ma anche i risultati delle aziende. Potremmo dire infatti che abbiamo un approccio di “UX-UI a performance”, che riesce ad ottenere un aumento delle conversioni.
Paolo Manenti – Creative Director di Webperformance
La prima academy per lavorare nel digitale
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